Nei viaggi per mare c’è un elemento che non può mancare mai: il faro. Punto di riferimento, luce salvifica, raggio rassicurante che dalla costa, dai suoi scogli pericolosi, avvisa i naviganti e accompagna la rotta. Un elemento che si porta dietro un alone letterario fatto di celebri titoli, di storie di isolamenti, e delle loro conseguenze, ma anche di incontri, e naturalmente di mappe, strade e parole, che sono poi gli elementi fondamentali intorno a cui ruota la ricerca di uno scrittore, e di cui si appropria anche la ricerca di Jazmina Barrera, la giovane autrice messicana autrice di Quaderno dei fari (La nuova frontiera, 2021).

Cinque fari, mille storie

Ogni capitolo di Quaderno dei fari è dedicato a un faro: è citato nel titolo, insieme alle coordinate, ad alcune caratteristiche architettoniche e ad altre sulla “lingua” del faro, l’alternarsi cioè di sequenze di luce e buio che caratterizza la voce di ciascuno di questi elementi di segnalazione. Da un faro all’altro dei cinque capitoli si aprono viaggi, rotte e percorsi che attingono da letteratura, storia dei fari, vicende personali. Ne viene fuori un reticolo, una mappa forse, che attraversa l’Atlantico e congiunge il Maine alla Scozia, il Messico alla Spagna.

Il racconto si apre nella nebbia, e forse non è un caso, visto che l’esplorazione è tutta dedicata a simboli marinareschi che rappresentano per loro natura una guida e un punto di riferimento luminoso in mezzo al buio: richiamo e protezione. La voce narrante – sarà poi l’autrice? La natura ibrida del libro lascia aperte varie soluzioni – è disorientata e si sente alla deriva. Nasce da questo spaesamento, forse, l’attrazione per i fari. E così che si apre la ricerca: una ricerca di luci, di vie, di voci, letterarie e non solo, di riferimenti.

Le coordinate partono dall’Oregon, vicino al centro marittimo di Newport, dove si trova il faro di Yaquina Head, portano poi insolitamente sul fiume Hudson, dove sopravvive il faro di Jeffrey’s Hook, da lì ci si sposta nella Normandia del tempestoso mare, quello che circonda il faro di Goury. All’Isola di Roosevelt, New York, c’è poi la Blackwell Lighthouse, finché si ritorna alla vecchia Europa, dove il quaderno dedicato dei fari diventa un diario, sotto al faro di Tapia de Casariego nelle Asturie spagnole.

faro di goury
Faro di Goury ©Nicola Morandi, su Unsplash.com

Le voci dei fari

Tra mappe e luoghi del mondo contraddistinti dai fari all’inseguimento dei quali si mette Jazmina Barrera (l’editore, non a caso, ha pensato a una mappa dei fari da rintracciare navigando per il planisfero), non potrebbero mancare i riferimenti letterari che, complici le metafore del faro come guida, riecheggiano in tanti romanzi. Dalla notissima Virginia Woolf di Gita al faro, a Walter Scott, autore di un diario durante un viaggio in Scozia insieme a una commissione di ispettori dei fari tra cui Stevenson nonno, e ancora Jules Verne e Ray Bradbury, insieme all’Ingmar Bergman dell’isola svedese di Fårö (significato: isola lontana, niente a che vedere con fyr, che invece vuol dire proprio faro) e a Edward Hopper, per attingere all’intero immaginario artistico sui fari. La bibliografia del volume dà conto dei tanti riferimenti citati.

Ma le voci dei fari non sono solo quelle di chi li ha raccontati o utilizzati come spunto per narrare le vite dei personaggi: sono anche le voci autentiche fatte di intermittenze di luci e buio, il linguaggio dei fari. “Lighthouse“: casa della luce, non esiste parola più luminosa nel definire lo scopo di un elemento che fin dall’antichità, attraverso il fuoco, ha segnalato pericoli. “Il mare è l’impero della natura. Il faro è l’artificio che nella sua dignitosa piccolezza gli si oppone”, scrive Barrera, e in effetti il faro porta con sé anche la voce del mare, il liquido orizzonte sul quale si staglia nel suo essere monumento-vedetta, e senza il quale smetterebbe di avere ragion d’essere. Intorno, l’acqua minacciosa, ma che al contempo richiama, come scriveva Melville, uno dei “fari” delle storie di mare letterarie.

Una collezione impossibile

Quaderno dei fari non è solo una collezione di fari, ma la storia della collezione stessa e della sua necessaria limitatezza e fallibilità: “l’ossessione è una specie di protagonismo della mente” scrive l’autrice analizzando la propria attrazione per questi elementi che richiamano stabilità in mezzo alle onde, del mare e dell’esistenza. Approda al faro chi è naufrago, ma è al faro che vive anche la leggendaria figura del guardiano, stereotipata dalle pagine. “Fuoco che segnala la fine del mare”, così i greci definivano il faro: la collezione ha radici nella storia del Mediterraneo (e non solo): Barrera scava all’indietro cercando i fari dell’antichità. Ed è così che in mezzo alla collezione di fari e alla mappa dei fari vissuti, cercati e ancora da visitare, spuntano mitologici fari come quello di Alessandria, distrutto nel 1321, o come la Lanterna di Genova, simbolo imperituro della città, costruito a metà del XV secolo e che ebbe come guardiano, si dice, lo zio di Cristoforo Colombo.

Impossibile sapere se la coincidenza è solo un auspicio a posteriori per il navigatore che rivoluzionò il mondo, impossibile, del resto, completare la collezione. Una collezione di sabbia, oserebbe dire Calvino: sfuggente granello dopo granello, una meta che tuttavia sa rassicurare sulla possibilità di non perdersi nel mare della vita. Ancora una volta una metafora.

In un libro che non è un saggio né una storia, ma un insieme mescolato dei due, e una terza cosa ancora, odorosa del salmastro dei portolani, avventurosa come le storie di mare e cugina di un atlante, non potrebbe mancare una colonna sonora. Nel suo curato lavoro di comunicazione intorno al libro e ai suoi temi, e ai fari che Jazmina Barrera descrive e racconta in giro per il mondo, La nuova frontiera ha inaugurato così anche una playlist a tema, per ricercare o ricreare le atmosfere della ricerca dei fari e della loro scoperta.

Yaquina Head
Il faro di Yaquina Head ©pixabay.com

Quaderno di chiesuola

Chiesuola: bitàcora in spagnolo. Si chiama così un armadio fissato sulle navi, solitamente vicino al timone e alla bussola, come loro tra gli strumenti più importanti. Sotto la scatoletta della chiesuola, al riparo da mareggiate e incidenti, era conservato il diario dove si scrivevano gli avvenimenti di bordo. Barrera racconta che divenne cuaderno de bitàcora, ovvero “giornale di chiesuola”. Un diario, come quello tenuto dal guardiano del faro, dove annotare indicazioni tecniche e meteo: è quello in cui si trasforma, alla fine, il quaderno dei fari. “In mancanza di un interlocutore, nel diario è possibile costruire se stessi nel tempo della narrazione” svela la voce narrante. Un punto di riferimento: un faro. È forse questo l’approdo ultimo di un libro che sfugge a ogni classificazione. Libro per viaggiare, con la fantasia, la letteratura, ma anche con coordinate reali, nel tempo della storia tra navigazioni antiche e fari riadattati, ma anche dentro se stessi. Le riflessioni attraverso la luce dei fari si alternano: dal soggetto ai fari, inseguendo un io sperduto all’inseguimento di una collezione.

“Con i fari smetto di pensare a me stessa. Mi allontano nello spazio e vado in luoghi remoti. Mi allontano anche nel tempo, verso un passato che so di idealizzare, in cui la solitudine era più semplice” scrive l’autrice rivelando il suo innamoramento per gli intriganti elementi marini che guidano, aiutano e talvolta salvano. Accanto a queste voci nella notte, in giro per il mondo, la ricerca non smette di nutrire le pagine letterarie, perché “il faro è direzione, mai punto di arrivo”.

Quaderno dei fari
Luogo: Mondo
Titolo: Quaderno dei fari
Autore: Jazmina Barrera
Editore/Anno: La Nuova Frontiera, 2021
Genere: Non fiction