Dalle acque spunta come un’inespugnabile montagna del mare. La sua inavvicinabilità e l’asprezza dei suoi rilievi ne hanno nutrito il mito nei secoli: Montecristo è una piramide di granito che condensa in sé l’irresistibile fascino dell’inaccessibilità.

Ne Il conte di Montecristo il mito dell’isola inizia già nella cella dell’abate Faria, che tesse una narrazione favolosa, ammantata di leggenda, ancor più amplificata dal fatto che noi lettori ci troviamo assieme a Dantès impossibilitati allo spostamento, imprigionati in una perpetua reclusione.

Mi sono sempre chiesta se Alexandre Dumas fosse effettivamente stato sull’isola di Montecristo, oppure se l’avesse immaginata sfogliando carte nautiche o attingendo alle altrui testimonianze, un po’ alla Salgari. Ma Dumas, giramondo qual era, doveva sicuramente aver avuto una qualche esperienza diretta.

E così infatti fu.

Il viaggio di Dumas all’isola di Montecristo

Nei Discorsi (“Causeries”, 1860) c’è un articolo dal titolo Stato civile del Conte di Montecristo (“État civil du Comte de Monte-Cristo”) in cui Dumas racconta la genesi del romanzo rispondendo alle accuse che ne attribuivano la paternità al suo collaboratore Pier Angelo Fiorentino.

Nel 1842 Dumas, allora trentanovenne, si trovava a Firenze nella villa di Quarto, ospite di Girolamo Bonaparte, fratello minore del ben più noto Napoleone, che in città era il riferimento per la colonia di espatriati francesi. A lui Dumas promette di fare da mentore al figlio Napoleone Giuseppe Carlo, chiamato familiarmente Plon Plon, e fare con lui un viaggio di formazione: direzione Isola d’Elba, nei luoghi che avevano visto l’esilio dello zio.

Partono alla volta di Livorno e da qui scoprono che tutte le navi per Portoferraio sono già salpate. Adocchiano una piccola imbarcazione che porta il nome “Duca di Reichstadt”, titolo di cui era stato insignito il cugino di Plon Plon, Napoleone II. Un segno del destino. Nonostante l’inadeguatezza del mezzo, saltano incoscientemente a bordo assieme a due marinai alla volta dell’Elba, ma una tempesta li coglie e vivono ore di grande apprensione. Poi, bagnati fradici, raggiungono Portoferraio.

Eravamo fradici fino alla pelle: dai piedi alle ginocchia, nell’acqua di mare che avevamo preso a bordo; dalle punte dei capelli alle ginocchia, dall’acqua del cielo che la tempesta ci aveva versato addosso con una prodigalità che prova che, quando il cielo dà, dà con tutto il cuore.

Alexandre Dumas, Stato civile del Conte di Montecristo

Dopo aver girato l’Elba in lungo e in largo, decidono di andare a caccia sull’isola di Pianosa. Tuttavia, insoddisfatti di conigli e pernici rosse, si fanno stuzzicare dal suggerimento di un tipo del posto, che gli parla delle capre selvatiche nella vicina isola di Montecristo.

Così il giorno dopo partono in barca alla volta di Montecristo, salvo poi essere informati dai marinai a bordo, a pochi chilometri dalla riva, che l’isola, priva di presenze umane, è in contumacia, ossia non si può sbarcare senza poi passare un periodo in quarantena una volta tornati sulla terraferma. Per qualche capra selvatica non vale proprio la pena sbarcare, ma Dumas insiste per circumnavigarla.

“A quale scopo?” chiede Plon Plon a Dumas.
“Per determinare la sua posizione geografica e a dare, in ricordo di questo viaggio che ho l’onore di fare con voi, il titolo di Isola di Montecristo a qualche romanzo che scriverò in seguito”.

E qui finì l’unica esperienza di Dumas a Montecristo, ma due anni dopo, come sappiamo, ebbe modo di onorare questa promessa.

Man mano che avanzavamo, Montecristo sembrava sorgere dal seno del mare e crescere come il gigante Adamastor.
Non ho mai visto un manto azzurro più bello di quello che il sole nascente gettava sulle sue spalle.

Alexandre Dumas, Stato civile del Conte di Montecristo
Isola di Montecristo ©turismoletterario.com

L’isola di Montecristo nel romanzo

Nel romanzo di Dumas, Edmond Dantès, mentre si trova in prigione, viene a sapere dall’abate Faria che nelle grotte dell’isola di Montecristo si troverebbe un incommensurabile tesoro, con lingotti, monete d’oro e pietre preziose, destinato dal cardinale Spada al nipote Giulio, ma la famiglia è ormai estinta e il segreto del tesoro sepolto con essa. Così, dopo la rocambolesca fuga, a Edmond non resta che tentare: punta dritto a Montecristo, alla ricerca di sì tanta ricchezza.

Edmond divorava con gli occhi quella massa di scogli che assumeva tutti i colori crepuscolari, dal rosa acceso al blu scuro; di tanto in tanto gli salivano al viso vampate ardenti; la fronte si arrossava, una nube purpurea gli passava davanti agli occhi.
[…] migliaia di cicale, invisibili tra l’erica, facevano sentire il loro mormorio monotono e continuo; le foglie dei mirti e degli olivi si agitavano fremendo con un suono quasi metallico; a ogni passo sul granito bollente Edmond metteva in fuga lucertole che sembravano smeraldi; in lontananza si vedevano balzare, sui pendii, le capre selvatiche che a volte attirano i cacciatori: in una parola, l’isola era abitata, viva, animata, eppure Edmond si sentiva solo sotto la mano di Dio.

Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo

Come sappiamo, seguendo le indicazioni apprese dall’abate Faria e alcune intuizioni, Edmond trova le grotte in cui è nascosto il tesoro. E la sua paziente, inesorabile vendetta può avere inizio.  

Cala Santa Maria, isola di Montecristo ©turismoletterario.com

La realtà dietro la finzione

La storia del tesoro di Montecristo non è frutto di fantasia. Dumas aveva rielaborato la leggenda popolare secondo la quale un tesoro, lascito di donazioni ecclesiastiche, era stato nascosto nel monastero di San Mamiliano, edificato sull’isola intorno al V secolo.

Infatti Montecristo dal V secolo era stata abitata da monaci eremiti, tra cui san Mamiliano di Palermo che visse in una grotta e vi morì nel 460. Secondo la leggenda, proprio sull’isola di Montecristo avrebbe ucciso un drago, simbolo del paganesimo.

I monaci occuparono l’isola fino al Cinquecento, quando subì razzie e scorribande da parte dei corsari, segnando così la fine del monastero. Da allora è rimasta disabitata eccetto qualche tentativo di colonizzazione agricola nell’Ottocento. Nel 1852 un barone scozzese, George Watson Taylor, acquistò l’isola e vi fece costruire una villa (l’odierna Villa Reale) a Cala Maestra (tuttora unico attracco per le imbarcazioni) e in seguito, nel 1869, l’isola venne acquisita dal governo italiano.

Da qui ebbe vicende alterne, fu concessa in affitto a privati e usata come riserva di caccia di proprietà esclusiva del marchese Ginori (quello delle ceramiche fiorentine) e poi dei Savoia, infine corse il rischio diventare un club esclusivo, scippata dall’arroganza di chi, con inique ricchezze, pensa di potersi appropriare di qualsiasi cosa.

Per fortuna, la vicenda dell’isola ha un lieto epilogo. Nel 1971 fu sottratta alla speculazione e dichiarata Riserva Naturale Integrale. Dal 1979 è stata anche istituita anche una zona di tutela sulle acque che la circondano. Da allora l’isola è sempre rimasta disabitata, eccetto le famiglie di guardiani che fino a qualche anno fa ci hanno vissuto in modo stanziale, ed è attualmente presidiata da due guardie forestali che si danno il cambio ogni quindici giorni.

Cala Maestra, isola di Montecristo ©turismoletterario.com

Visitare l’isola di Montecristo

L’isola non si può visitare liberamente poiché è sotto strettissima tutela: ogni anno l’ambitissimo accesso è riservato a pochi fortunati che si prenotano sul sito dell’Ente Parco (in genere a partire dalla fine di gennaio per le visite nell’anno corrente). L’isola si visita da marzo a settembre con l’esclusione di luglio e agosto (le temperature renderebbero insostenibile la visita). Sull’isola si possono percorrere tre itinerari, tutti accompagnati da guida ambientale:

Facile: circoscritto al centro visite e agli immediati dintorni;

Intermedio: quello più panoramico, adatto se si è in buona forma fisica e non si teme il caldo, data la quasi totale assenza di ombra;

Difficile: bisogna essere degli escursionisti mediamente esperti per maggiore dislivello e alcuni tratti di crinale; è l’unico che conduce ai resti del monastero e alla grotta di san Mamiliano.

Isola di Montecristo ©turismoletterario.com

Il molo dove attraccano i traghetti si trova a Cala Maestra, un anfiteatro roccioso che abbraccia l’arenile dorato, formatosi dopo una violenta alluvione nel 1992, presso il quale sorgono aggrumati gli unici edifici (escluse le rovine del monastero) nell’isola: la Villa Reale, che un tempo fu residenza di George Watson Taylor, e poco sotto il centro visite che introduce alla flora e alla fauna dell’isola, circondato da un piccolo orto botanico. È qui che avviene il primo incontro con le vere padrone di Montecristo: le capre selvatiche (Capra hircus). Nel centro visite le conosciamo tramite foto ed esemplari in tassidermia, ma ogni tanto, lungo il sentiero, anche qualche capretta viva e vegeta si mostra agli escursionisti più fortunati. Inconfondibili per le loro lunghe corna ritorte, furono introdotte in tempi antichissimi e sono dunque considerate una specie endemica.

Lungo i sentieri che si inerpicano tra rilievi dell’isola, dove predominano le campiture ocra dei liscioni, placche di granito lisciate dall’azione erosiva del vento e della sabbia, ci si rende bene conto di come quest’isola sia quasi spoglia di vegetazione arborea: nella brulla Montecristo è il regno minerale a imporsi su quello vegetale. I rosmarini, le eriche, gli elicrisi e i cisti selvatici, con i loro profumi intensi, devono lottare non solo con l’asprezza dei rilievi, ma anche con la minaccia di piante infestanti introdotte dall’uomo: su tutte l’ailanto, scriteriatamente portato qui dal marchese Ginori, che continua a minacciare la vegetazione isolana espandendosi voracemente e soppiantando molte essenze autoctone.

Nonostante l’aspetto possente e indomito, Montecristo si rivela così in tutta la sua fragilità: un ecosistema delicato, facilmente incrinabile, da tutelare a ogni costo.

Per una vivida descrizione dell’isola, con digressioni sulla sua storia e sul più ampio discorso del rapporto tra l’uomo e la natura, è assolutamente consigliata la lettura di Montecristo. Dentro i segreti della natura selvaggia di Marco Albino Ferrari (Laterza, 2015).

L’inospitalità di questo ripido cono solitario potrebbe mettere i brividi, potrebbe impaurire, addirittura offendere l’osservatore: roccia, mare, cielo, ogni cosa appare pericolante nell’abisso. Dov’è il bello quassù? È questa una natura minacciosa, drammatica, dura, dunque sublime. La bellezza qui sta tutta nella sproporzione accentuata tra l’uomo e la vastità dell’ambiente che lo circonda. L’uomo si fa piccolo, si annulla. Uno scenario perturbante…

Marco Albino Ferrari, Montecristo. Dentro i segreti della natura selvaggia

Informazioni utili

Per accedere all’isola, si deve prenotare sul sito parcoarcipelago.info. I traghetti partono dal porto di Piombino con scalo a Porto Azzurro (isola d’Elba) e da Porto Santo Stefano con scalo a Giglio Porto.
Per l’escursione sono obbligatorie scarpe da trekking, meglio se con suola scolpita. Sull’isola non sono presenti punti ristoro, quindi bisogna prevedere di portarsi una buona scorta d’acqua e cibo. Consigliati anche occhiali da sole e un cappello per i numerosi tratti privi d’ombra.

Fonti:

  • Alexandre Dumas, Stato civile del Conte di Montecristo (“État civil du Comte de Monte-Cristo”), in Causeries, 1890.
  • Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, ed. varie.
  • Marco Albino Ferrari, Montecristo. Dentro i segreti della natura selvaggia (Laterza, 2015).
  • Sito ufficiale dell’Ente Parco: parcoarcipelago.info