Che impresa monumentale deve essere stilare un compendio approfondito delle opere ambientate a Parigi. Così complessa e stratificata, è forse tra le città più narrate assieme a Londra e New York. A voler fare una ricognizione esaustiva delle apparizioni di Parigi nella letteratura ne uscirebbe sicuramente un tomo dalle dimensioni di un’enciclopedia.

Pertanto chi decide di cimentarsi nell’impresa ma vuol produrre un libro maneggevole, di lesta e piacevole lettura, non può far altro che circoscrivere. Scegliere per esempio un tempo specifico, un quartiere, un movimento letterario o una generazione di scrittori.

Nelle prime pagine di questo A Parigi. Da Hemingway a Cortázar (2021), che si inserisce nella collana “Passaggi di dogana” di Giulio Perrone Editore, non appare subito evidente il taglio che verrà dato a questa Parigi di carta. Parrebbe quasi l’inopinabile gusto personale dell’autore, data una certa autoreferenzialità che sgomita nei primi capitoli.

Finché non si entra nel vivo di questo viaggio letterario, e tutto è improvvisamente più chiaro. È da un ponte sulla Senna che l’autore inizia a svelarci la città – il suo volto contemporaneo, novecentesco – da punti di vista anche originali, non scontati, tra pagine di romanzi e scorci illuminati da lampioni Art Nouveau.

Il libro è strutturato in capitoli concisi dedicati a vari argomenti, quasi dei flash – il fiume, le piazze, i ponti, la toponomastica, i tetti – a cui sono associate delle suggestioni letterarie, chiamando spesso in causa anche autori meno inflazionati quando si parla di Parigi. Accanto a Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e Walter Benjamin troviamo, per dire, Gajto Gazdanov, Julien Green e Anna Maria Ortese. Il che rende l’idea di una confezione di pâtisserie ben selezionata, con i grandi classici accanto qualche gusto più ricercato. Ma mentre nel caso dell’alta pasticceria la confezione si svuota morso dopo morso, nella nostra situazione c’è un contenitore che pagina dopo pagina si riempie a dismisura: la nostra reading list.

Ciò che rende ben riuscito questo libro è quindi l’effetto che produce: la voglia compulsiva di mettersi subito a leggere i libri citati e di appuntarsi i luoghi descritti o consigliati per il prossimo (si spera imminente) viaggio. Che il segreto stia nella ponderata brevitas dei capitoli? Questi rapsodici spunti, dosati come il “q.b.” delle ricette ma che come il “la” dell’orchestra innescano l’inarrestabile curiosità del “volerne sapere di più”?

E così giù a prender nota dei titoli suggeriti: Strade di notte di Gajto Gazdanov. Una sorta di Taxi driver parigino che vaga solitario per le strade buie della città negli anni Trenta. (Annotiamo a fianco “fare un salto al Canal Saint-Martin e al Boulevard de Magenta, un tempo quartiere povero, oggi cuore della Parigi giovane e alternativa”). A seguire, per conoscere gli arrondissement meno battuti ci appuntiamo Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di Éric-Emmanuel Schmitt, ambientato nel 10°, e La vita davanti a sé di Romain Gary, ambientato nel 20°. Che poi il 20° arrondissement sarebbe la multietnica Belleville, già nota ai lettori per i libri di Pennac, ma potrebbe essere interessante anche scoprirla con lo sguardo dei Punti di fuga di Pino Cacucci.

E mentre l’incompiuto I «passages» di Parigi di Walter Benjamin appare sempre più come un libro imprescindibile per capire la città, il Marais ce lo fa vedere con altri occhi Julien Green in Parigi (recentemente pubblicato da Adelphi), per il quale questo quartiere sembra quasi essere un luogo di serendipità, ossia dove trovare nulla di quanto si cerca, ma molte cose che non si cercano affatto.

Si parla poi di tanti luoghi più o meno noti, da un arrondissement all’altro. Al Jardin de Plantes sarà un piacere andare dopo aver letto Viaggi ed altri viaggi di Antonio Tabucchi, con la bruciante curiosità di vedere dal vivo uno di questi strambi Axolotl (se non sapete cosa sono dovete googlarli). Il Pont des Arts d’ora in poi evocherà subito Il gioco del mondo di Cortázar, e in Place Vendôme sarà impossibile non alzare lo sguardo verso l’hotel Ritz pensando ai bauli abbandonati di Hemingway che hanno tenuto in ostaggio il manoscritto di Festa mobile per quasi trent’anni.

E a proposito di Hemingway: ecco che lo ritroviamo ai tavoli Closerie des Lilas dove scriveva ogni mattina, in uno dei quartieri a più alta concentrazione letteraria di Parigi, il 14° arrondissement, ossia Montparnasse. E qui, nel 14° arrondissement, tocca davvero fermarsi perché la reading list rischia di allungarsi a dismisura.

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