Se c’è un museo che a Londra mi entusiasma sempre quello è la National Portrait Gallery.
Potrà sembrare una preferenza bizzarra, ma mi sembra di passeggiare dentro le pagine di un’antologia di letteratura inglese. Volti familiari, alcuni anche di discreta bellezza (prendi Byron), altri dallo sguardo altero (Laurence Sterne), distratto (Samuel Johnson), innocente (George Eliot), sbigottito (Thomas Hardy), perso nel nulla (Jonathan Swift). C’è persino chi guarda in alto (William Blake), chi di fianco (James Joyce), chi ti fissa dritto negli occhi (Henry James). Chi si rincalca nella poltrona (Virginia Woolf) e chi invece è scomposto come un puzzle (T.S. Eliot). Sembra quasi di poterci parlare, con tutti questi scrittori, come fossero versioni in carne ed ossa: quante domande ci sarebbero da fare!
Alcuni di questi quadri nascondono anche aneddoti o storie curiose. Eccone un po’.
Sala 24. Sorelle Brontë

Elizabeth Gaskell ce ne aveva parlato nella sua biografia di Charlotte Brontë, ma nessuno l’aveva più visto. Doveva pur essere finito da qualche parte. Forse nel caminetto? Bruciato insieme a corrispondenze, pile di manoscritti, qualche inizio di romanzo andato perduto?
Fortunatamente no.
Era piegato in otto (pieghe visibili ancora oggi), abbandonato sopra una credenza in casa del Reverendo Nicholls, già vedovo di Charlotte Brontë. Mi immagino la seconda moglie del Reverendo (all’epoca deceduto), mentre spolvera quell’angolo della casa dimenticato da Dio, tra nuvole di polvere e ragnatele, e ops! Eccolo qui, l’unico ritratto che raffigura le tre sorelle, già famose scrittrici e già sepolte da un pezzo. È il 1914 e finalmente il cosiddetto “Pillar portrait” (dipinto nel 1835) emerge dall’oblio per essere restituito al mondo.
Ma perché chiamarlo così? Perché, come è abbastanza evidente, nel mezzo del quadro c’è una “colonna” (pillar, appunto) scolorita, tentativo maldestro di coprire una figura… che a guardar bene si scopre essere Branwell, autore del ritratto nonché fratello delle scrittrici, il quale – non lo sappiamo – forse in un impeto d’ira o in un momento di autocommiserazione, chissà, voleva scomparire dal quadro dipingendosi sopra una colonna, che agli occhi dei posteri sembra più una colata di candeggina.
Sala 24. Emily Brontë

Il ritratto di una giovanissima Emily fu ritrovato sulla credenza polverosa e dimenticata assieme al precedente “Pillar Portrait”. Anche questo opera di Branwell, datato 1833/34.
Il bordo seghettato e quella spalla sul bordo sinistro parlano chiaro: è un frammento di un’altra tela.
E quindi tutto il resto? Andato distrutto. Kaputt. Finito.
Lo sappiamo grazie a una foto scattata al quadro nel 1860 che ritraeva i quattro fratelli al gran completo.
Quindi, visto che al momento della fotografia tutti i Brontë erano purtroppo già deceduti, come mai di quel quadro ce n’è arrivato solo un pezzo? Chi l’ha manomesso?
Evidentemente fu il Reverendo Nicholls che giudicando i ritratti di bassa fattura, ritagliò quello da lui ritenuto più somigliante (Emily) e… buttò il resto. Questo sì, andato distrutto per sempre.
Sala 3. William Shakespeare (?)

Essere o non essere… questo è il problema.
È il dubbio amletico che affligge il quadro da sempre associato al più grande drammaturgo di tutti i tempi: è o non è William Shakespeare il baldo giovane (ma anche bald) ivi raffigurato?
Se addirittura per alcuni William Shakespeare non è nemmeno mai esistito (era il nom de plume di John Florio? Era una figura inventata che includeva diversi scrittori?), capirete la difficoltà ad attribuirgli un volto.
Orecchino, colletto slacciato, baffetto lievemente all’insù e tratti così poco anglosassoni che molti ne hanno messo in dubbio le origini (secondo Freud era francese!): il quadro fu dipinto tra il 1601 e il 1610, dunque con lo scrittore ancora in vita, ed è attributo a tale John Taylor. Gli studiosi concordano che è uno dei ritratti più attendibili del Bardo, assieme al “Cobbe portrait” (1610) e il “Droeshout portrait” (1622).
Di certo, però, sappiamo solo che data la sua importanza è stata la prima opera inserita nella collezione della National Potrait Gallery! Fu infatti donata all’istituzione appena fondata, nel 1856, e ancora oggi porta il codice identificativo NPG 1.
Sala 28. Henry James

Guardalo, Henry James. Rilassato, reso saggio dagli anni. Una mano aggrappata al panciotto, una certa sicurezza di sé.
Un ritratto che non immagineresti sia stato dilaniato da una mannaia.
E invece andò proprio così. Risucchiato nel turbine di una rivendicazione femminista.
I fatti sono questi.
Era il 4 maggio 1914 e il quadro in questione, dipinto da John Singer Sargent faceva bella mostra di sé alla Royal Academy londinese. Era un quadro commissionato dagli appassionati di Henry James come regalo per il suo settantesimo compleanno. Scrittore che, ricordiamocelo, all’epoca era bell’e che affermato con venti romanzi pubblicati, numerosi racconti, saggi letterari e diari di viaggio. Era al culmine di una carriera che verrà stroncata da una morte improvvisa due anni dopo.
Ad un tratto, alle 13.30 di quel 4 maggio, durante il banchetto inaugurale, tuona una voce: “Diritto di voto alle donne!”. La suffragetta Mary Wood brandendo una mannaia si scaglia contro il quadro e cala tre vigorosi fendenti sulla figura in panciolle dello scrittore. Segue un parapiglia, un tizio prova a salvare la donna dal linciaggio (e ci guadagna gli occhiali rotti), poi viene arrestata.
Ma perché attaccare proprio Henry James? Per i suoi ritratti di signore propense all’abnegazione? O forse era Sargent a suscitare sdegno per aver attribuito sovente alle figure femminili nei suoi quadri un mero ruolo decorativo?
Probabilmente niente di tutto questo.
Era semplicemente un gesto che andava a colpire un bene dal valore materiale e simbolico. E per di più nella Royal Academy, ambiente tradizionalmente maschile.
In seguito, a Mary Woods fu rimproverato che quel quadro da lei sfregiato era stato valutato ben 700 sterline. “Se fosse stato dipinto da una donna non sarebbe stato valutato così tanto!”, replicò sdegnata lei. Poi aggiunse: “Ho provato a distruggere un quadro di valore perché volevo mostrare a queste persone che le loro proprietà e opere d’arte non saranno al sicuro finché alle donne non saranno dati diritti politici!”.
Indubbiamente una giusta causa. Forse non il modo più efficace per perorarla, ma tant’è…
Il quadro comunque fu sistemato da Sargent e oggi si trova esposto nella sala 28, in compagnia di Stevenson e Kipling.

Sala 18. Jane Austen

Che sguardo aveva Jane Austen, questa scrittrice dalla penna così arguta, sensibile e tagliente?
Non lo sappiamo di preciso.
L’unico ritratto con attribuzione certa che ci fornisce una vaga immagine della scrittrice è quello esposto qui alla National Portrait Gallery, un ovale poco più grande di una cartolina, racchiuso in una teca illuminata all’occorrenza per non sbiadirne i già tenui colori.
Un ritratto incompleto, ad acquerello, che lascia trasparire però lo sguardo dell’acuto osservatore e un’indole ribelle, come quei ciuffetti spettinati che spuntano dalla cuffietta.
Il tratto, timido sulla carta, è quello della persona che forse aveva presente più di ogni altra il volto di Jane: sua sorella Cassandra, disegnatrice provetta che aveva illustrato anche il primo manoscritto di Jane, Storia d’Inghilterra.
Da questo fragile ritratto deriveranno svariate versioni successive, arricchite e rielaborate, che ancora oggi troviamo su copertine e frontespizi dei suoi romanzi.
Sala 18. Lord Byron

Non dobbiamo vergognarci di ammetterlo. La maggior parte di noi, guardando il suo ritratto, direbbe: “Era proprio un gran figo”.
Lord Byron, oltre ad avere la fama di un raffinato e colto poeta, era anche un uomo di bell’aspetto. E le sue conquiste (ambosessi) lo confermano. Sarà stato quel suo carattere conturbante riassunto dall’aggettivo “byronico”, il temperamento volubile, ribelle, arrogante e spesso collerico, oltre a un’insaziabile brama di libertà, su tutti i piani. Idealista, ma anche autodistruttivo.
Tutt’altro, quindi, che lo sguardo calmo e riflessivo del ritratto esposto nella National Portrait Gallery. Quel quadro però vuole dire altro: lo strano abbigliamento indossato è un abito albanese col quale Byron si fa ritrarre per riflettere il suo spirito avventuroso e i suoi viaggi per mezza Europa. Quello stesso spirito che lo porterà a scrivere la parola fine alla sua esistenza quando, prendendo parte alla guerra di indipendenza greca, morirà a Missolungi nel 1824.
Altri quadri
Non lasciate la galleria troppo presto! Ci sono tantissimi quadri di scrittori (e personaggi della storia inglese) su cui soffermarsi. Tra cui:
- Elizabeth Barrett e Robert Browning
- Robert Burns
- Samuel Coleridge
- John Donne
- George Eliot
- T.S. Eliot
- Edward Morgan Forster
- Thomas Hardy
- John Keats
- Rudyard Kipling
- Ben Johnson
- James Joyce
- Walter Scott
- Mary Shelley
- Percy Bysshe Shelley
- Robert Louis Stevenson
- Virginia Woolf
- William Wordsworth
Se sono attualmente esposti e in quale sala (talvolta vengono dati in prestito ad altri musei) lo potete controllare sul sito ufficiale della National Portrait Gallery.