Avete mai letto un libro con un’ambientazione tanto presente nella narrazione da avervi fatto venire voglia di viaggiare nei luoghi in cui la storia si svolge?
(Se siete capitati altre volte su questo sito, la risposta è quasi sicuramente “sì”.)
L’Altante dei paesaggi letterari, a cura di John Sutherland, pubblicato da Rizzoli nel 2019, fa un’indagine proprio in questo senso. Raccoglie infatti una serie di opere letterarie in cui l’ambientazione non è un mero sfondo, ma si impone come soggetto letterario a sé stante.
Innanzitutto si parla di luoghi reali, tuttora esistenti o comunque esisiti (per le terre leggendarie si rimanda al titolo fratello, Atlante dei luoghi leggendari. Terre leggendarie, mitologiche, fantastiche in 99 capolavori dall’antichità a oggi, sempre pubblicato da Rizzoli, nel 2018). L’indagine prende in considerazione romanzi da tutto il mondo: sia grandi classici come l’Ulisse di James Joyce, sia altri titoli più ricercati e meno noti, ma anche opere contemporanee come L’amica geniale di Elena Ferrante. L’antologia divide i titoli in quattro sezioni, sulla base del periodo storico: Panorami romantici (fino al 1914), Vedute moderniste (dal 1914 al 1945), Panorami postbellici (dal 1945 al 1974) e Geografie contemporanee (dal 1974 ad oggi).
A corredare il tutto, una veste grafica senza fronzoli ma efficace, arricchita di illustrazioni, mappe storiche, copertine di libri e foto, tutto di stili ed epoche diverse. Un guazzabuglio iconografico che però trova una sua ragion d’essere, non stonando affatto, complice forse la buona qualità della carta, spessa e opaca, oltre a una rilegatura solida che ne fanno nel complesso un bell’oggetto da possedere o da sfoggiare in salotto come table coffee book.
Ma il cuore del libro si riassume in una semplice, cruciale domanda: quanto è importante lo scenario per la narrazione di un’opera letteraria?
Per alcuni romanzi l’ambientazione è un tratto fondante, assolutamente imprescindibile: forse non sarebbero mai potuti essere concepiti senza un determinato sfondo a nutrire l’immaginazione dello scrittore e accompagnare le vicende dei protagonisti.
Pensiamo a Cime Tempestose, a quanto le brughiere ostili e selvagge concorrano a forgiare i caratteri dei personaggi e arbitrare i rapporti tra di loro. Il “tempestoso” del titolo agita le vicende inquiete di Catherine e Heathcliff, le anima di fantasmi e pensieri autodistruttivi, mentre sulle brughiere il vento soffia incessantemente folate sferzanti, scuotendo le chiome degli alberi quanto i tormenti interiori di chi abita in queste terre.
La geografia letteraria in molti casi rappresenta una sintesi di luoghi e persone e spesso muta con loro. Si prenda Anna Karenina, dove il paesaggio è legato all’esperienza del personaggio, dalla città falsa e moderna dove si muovono le vicende di Anna e Vronskij, alla campagna dove Levin trova conforto e riappacificazione interiore contemplando il cielo sconfinato in mezzo ai campi mietuti.
Ma è il caso anche di Persuasione di Jane Austen, dove Bath diventa simbolicamente il luogo in cui la protagonista Anne rompe con il passato, il mondo rurale in cui è cresciuta, per progettare il futuro assieme al capitano Wentworth in un viaggio romantico e liberatorio.
Tuttavia quello attraverso la topografia letteraria è anche un viaggio in senso cronologico, nella storia.
Come dice il curatore John Sutherland, l’ambientazione di un romanzo “dipende tanto dalla storia quanto dalla geografia”. Questa antologia infatti non accompagna soltanto nei diversi angoli del globo, ma funziona anche da macchina del tempo per creare visioni diverse della stessa città: come la New York di Edith Wharton in L’età dell’innocenza, sideralmente distante dalla metropoli del romanzo Le mille luci di New York di Jay McInerney.
Oppure si pensi alla Berlino della Guerra Fredda che fa da sfondo al Saltatore del muro di Peter Schneider, in cui il narratore fa la spola tra la parte Est e quella Ovest alla ricerca di storie di persone che sono riuscite ad attraversare come lui quella barriera, una Berlino così distante dalla stessa città che negli anni Venti ha prestato le sue strade al romanzo Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin.
Numerose sono le altre opere trattate: dalla Los Angeles di Raymond Chandler alla Turchia di Orhan Pamuk, dal Venezuela di Zucchero nero di Miguel Bonnefoy alla Procida dell’Isola di Arturo di Elsa Morante, fino all’Estremo Oriente, rappresentato da Yukio Mishima con La voce delle onde e la Cina di Cronache di esplosione (Zhàliè zhì) di Yan Lianke.
Ma sono prese in considerazioni anche destinazioni difficilmente accessibili e in genere più trascurate nei romanzi, come Port of Spain, capitale di Trinidad e Tobago, in cui è ambientato Il drago non balla di Earl Lovelace, e Hokitika, in Nuova Zelanda, selvaggia ambientazione dei Luminari di Eleanor Catton, suggestiva narrazione della corsa all’oro sulle coste di questa sperduta isola.
Insomma, ciò che questo libro ci vuol far capire è che buona parte della letteratura è indissolubilmente legata al luogo in cui è ambientata: la geografia, spesso in concorso col particolare periodo storico in cui viene inquadrata, contribuisce a muovere la narrazione e non può essere considerata una mera rappresentazione visiva, ma un soggetto a sé stante, impattante nell’intreccio quanto nei personaggi.
È proprio da qui che nasce spontaneo lo stimolo a fare la conoscenza di questo “personaggio geografico“, viaggiando, andando a ricercare i paesaggi letterari di quel romanzo tanto amato. E durante il viaggio scopriamo che questa esperienza non si limita soltanto a rievocare le emozioni provate durante la lettura, ma diventa uno stimolo a guardare i luoghi con occhi più acuti, coscienti, empatici. E ci rendiamo conto che grazie a un libro possediamo una chiave di lettura per accedere ai molteplici strati di una realtà complessa, inafferrabile, che – non c’è scienza che tenga – può essere sfiorata solo grazie alla letteratura.