Qual è il segreto del successo di Sherlock Holmes?
Il suo fascino sta forse nella sua aura di inafferrabilità? Così geniale, risoluto e imperscrutabile, ma al tempo stesso razionale, asociale, freddo, distaccato. Siamo affascinati dalla sua intelligenza, dalle sue conoscenze sconfinate (solo in alcuni campi!) e mai fini al mero nozionismo, ma applicate ai tasselli di un puzzle scompigliato sempre da ricostruire. In una metropoli oscura, tentacolare, avvolta dalla paura dell’inspiegabile, Sherlock è l’eroe che – con tutti i limiti sul piano umano – riesce sempre a essere infallibile traendo il massimo da un’unica arma: un fino, acuto intelletto.
Ecco che nel libro La Londra di Sherlock Holmes di Enrico Franceschini, uscito per Giulio Perrone Editore nella collana di guide letterarie “Passaggi di dogana”, siamo noi lettori a diventare a nostra volta investigatori.
Guidati dalla voce dell’autore si ricostruiscono le vicende del detective e del suo inventore, Arthur Conan Doyle, che considerò la sua creazione sempre un po’ scomoda. Il successo di Sherlock infatti gli sfuggì di mano, impedendogli la carriera letteraria che avrebbe davvero desiderato, finendo così per essere completamente adombrato dal fascino del suo detective.
Franceschini ha due piste da seguire e le intreccia abilmente, facendo sì che l’una richiami costantemente l’altra: la vita di Conan Doyle e le tracce letterarie di Sherlock sparse per Londra. In tre percorsi, da Baker Street a Smithfield, da Montague Place allo Strand, da King’s Cross a Scotland Yard, sviscera una città che, ricordiamolo, Conan Doyle aveva quasi interamente ricostruito basandosi su mappe, disegni e carte geografiche perché lui, in fondo, nella capitale inglese ci aveva vissuto per pochi anni.
Si parte dal numero 221B di Baker Street, l’indirizzo di Sherlock, dove oggi c’è un popolarissimo e posticcio museo (in realtà, contando bene sarebbe il 239), per poi addentrarsi in una Londra “tra carta e realtà”. Sovente, infatti, si incontrano scrittori e personaggi letterari, da Charles Dickens, un po’ ovunque a Londra (“come Garibaldi in Italia”, dice l’autore) e Virginia Woolf a Bloomsbury, il quartiere da cui il suo gruppo di intellettuali prende nome, poi Oliver Twist e Eliza Doolittle a Covent Garden, ma anche il luogo dove fu giustiziato William Wallace/Braveheart e uno dei set cinematografici di Quattro matrimoni e un funerale, nella chiesetta di St. Bartholomew the Great.
Parlando di Conan Doyle, nato in Scozia e laureato in Medicina, se ne indagano le vicende editoriali: il debole esordio di Sherlock, seguito poi da un roboante successo quando il detective inizia ad essere pubblicato dal luglio 1891 in brevi racconti periodici su The Strand Magazine.
A contribuire al poderoso successo sarà stato sicuramente anche il volto datogli da Sidney Paget, uno dei più bravi illustratori sulla piazza, che lo ha fatto diventare iconico con quella pipa e il cappellino da caccia; ma di sicuro anche le oscure vicende legate a Jack lo Squartatore, che avevano terrorizzato Londra nell’estate del 1888, hanno contribuito a stimolare l’interesse per Sherlock Holmes con cui il lettore esorcizzava la paura, leggendo le indagini di un investigatore che riusciva a dare soluzione a tutto:
Una volta che hai eliminato l’impossibile, quello che rimane, non importa quanto improbabile, deve essere la verità.
Sherlock a Watson ne Il segno dei quattro
In alcuni punti di questo libro-guida letteraria, tuttavia, sembra di perdersi in divagazioni. I due fili conduttori intrecciati, la vita dello scrittore e le vicende del detective, ogni tanto si sfilacciano perché ogni nome, ogni via è uno spunto per accennare a personaggi, locali storici e aneddoti di ogni genere, dalla storia di Scotland Yard agli esclusivissimi club per gentlemen. Ma non importa, perché la lettura resta godibilissima e stuzzica quella curiosità a tutto campo che quasi certamente è sviluppata nei lettori di Conan Doyle perché alimentata dai labirintici ragionamenti del nostro detective.
Sul piano temporale si salta tra la Londra di ieri e di oggi con un’agilità fluida e naturale. I piani cronologici si sovrappongono, si scorge l’evoluzione della città dal tardo Ottocento in poi, ma anche i caratteri immutati: una metropoli sempre nebbiosa ma all’avanguardia, città di scienza e informazione, che attraverso istituzioni di prestigio ha mantenuto un ruolo guida anche nel presente.
Per esempio, oggi la Londra della scienza è rappresentata dal Francis Crick Institute, il laboratorio dove forse Holmes andrebbe a fare esperimenti se tornasse fra noi; mentre la Londra dell’informazione aveva il cuore nella leggendaria Fleet Street, dove è appunto nato il moderno giornalismo, tra cui quelle testate che Sherlock seguiva costantemente; vi avevano sede i principali giornali e gli uffici dei corrispondenti esteri, ma oggi si è dissolta completamente con il trasferimento in massa, alla fine del Novecento, delle testate giornalistiche in periferia.
Non è un caso che “le due Londre”, quella tra Otto e Novecento e quella contemporanea, si prestino a numerose analogie: la seconda infatti, si è dimostrata uno sfondo perfetto per un “ritorno al presente” di Sherlock Holmes con la recente e pluripremiata serie della BBC, Sherlock, che vede Benedict Cumberbatch nei panni perfetti del protagonista. Una serie citata spesso in questo libro, il quale ha il pregio di farci respirare l’atmosfera londinese con uno stile erudito e scorrevole, stuzzicando la nostra curiosità e facendoci riassaporare le indagini straordinarie di quest’investigatore che, ammettiamolo, ha affascinato tutti.