Indirizzo: via San Benedetto 2, Vallombrosa, Firenze

L’abbazia di Vallombrosa si trova nella località omonima, nel comune di Reggello (Firenze). Circondata prevalentemente da boschi di abeti e faggi, l’abbazia nasce come monastero a seguito della fondazione dell’ordine dei Vallombrosani nel 1038 a opera di Giovanni Gualberto, un nobile fiorentino, ritiratosi a vita monastica. La struttura si espande e arriva ad assumere l’aspetto attuale nel XVII secolo, come la facciata, costruita da Gherardo Salvini nel 1634. La chiesa in stile romanico conserva alcune tele e affreschi interessanti e le cappelle di San Giovanni Gualberto e del SS.mo Sacramento o dei Dieci Beati. Tra gli altri punti di interesse si citano il chiostro principale, l’antico refettorio e la caratteristica cucina dell’abbazia.

Nella seconda metà del XIX Vallombrosa e l’adiacente paese di Saltino, divennero una frequentata meta turistica grazie alla fama di stazione climatica; un evento degno di nota per la storia locale fu la costruzione di una ferrovia “a cremagliera” nel 1892, rimasta in funzione fino agli anni Venti, che dalla stazione di Sant’Ellero portava a Saltino, il piccolo paese a due chilometri dal monastero.
Sopra l’abbazia si trova il cosiddetto “Paradisino” da cui si gode di uno splendido panorama. L’attuale edificio è nato dove originariamente si trovava l’antico romitorio, formato da alcune cellette (XI sec.) in cui monaci si ritiravano per trascorrere alcuni periodi in solitudine. Con gli anni la struttura è stata rimaneggiata e ingrandita ed è diventata per un periodo un albergo per accogliere i visitatori. Nella seconda metà dell’Ottocento è divenuta proprietà dello Stato che ne ha concesso l’uso all’Università degli Studi di Firenze come Centro didattico per studenti e docenti del Corso di Laurea in Scienze Forestali. Sulla facciata di questa struttura è stata apposta nel 1921 una targa che commemora la visita (vera o presunta) del poeta inglese John Milton.

Infatti, grazie alla breve ma evocativa rappresentazione che Milton fa dei boschi di Vallombrosa nella sua opera Il Paradiso Perduto, a partire dalla metà del Settecento, si avrà un vero e proprio pellegrinaggio alla ricerca delle atmosfere miltoniane. Numerosi viaggiatori, in particolare inglesi, visiteranno il luogo e ne lasceranno traccia sui loro diari di viaggio. Tra di essi anche molti scrittori e poeti come William Wordsworth, Robert e Elizabeth Barrett Browning, Henry James, Mary Shelley, John Ruskin, Julius Slowacki, William Wetmore Story, Alphonse de Lamartine.
Tra gli scrittori italiani invece hanno fatto visita a Vallombrosa Ludovico Ariosto, che la cita in un passo de L’Orlando furioso e Gabriele D’Annunzio nel primo libro delle Laudi.

Dante Alighieri

All’interno dell’abbazia, nel cortile di fronte all’ingresso della chiesa, si trova sul lato sinistro una targa commemorativa, apposta nel 1921, che celebra il poeta fiorentino.

firenze-dante-abbazia di vallombrosa

Ludovico Ariosto

Anche Ludovico Ariosto cita Vallombrosa, precisamente nel XXII canto dell’Orlando furioso.
Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(così fu nominata una badia
ricca e bella, né men religiosa,
e cortese a chiunque vi venìa);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.

[da Orlando Furioso, Canto XXII]

Una targa apposta sulle mura esterne del monastero, vicino all’ingresso principale, ricorda Ariosto con alcuni versi tratti dal suddetto passo.

Vallombrosa, targa Ariosto

William Thomas Beckford

L’autore del romanzo gotico Vathek (scritto in francese nel 1785), visitò Vallombrosa con un amico nel 1780 alla ricerca di luoghi fuori dai classici itinerari e descrisse con dovizia di particolari il suo viaggio in una raccolta di lettere pubblicate el 1783 dal titolo Dream, waking thoughts and indicents in a series of letters.

Robert e Elizabeth Barrett Browning

Robert ed Elizabeth visitarono Vallombrosa nel luglio 1947 un po’ per cercare un posto dove trascorrere l’estate lontano dall’afa (e dalle zanzare, come Elizabeth confessa in una lettera) di Firenze, un po’ per ripercorrere i passi di John Milton, che entrambi conoscevano bene. A Elizabeth toccò la sorte di tutte le altre visitatrici: le donne non potevano soggiornare all’interno della badia, quindi dovette sostare con la cameriera personale Elizabeth Wilson fuori: “Porteranno Robert nel monastero e lasceranno Wilson e me all’esterno con altre bestie immonde. Non ci sarà permesso di cenare insieme, oso dire! Forse potremo avere un caffè qualche volta, oppure fare una passeggiata, ma comunque quello sarà un divorzio […]”

Nonostante la brutta esperienza (nemmeno la lettera di referenza dell’arcivescovo di Firenze servì a far soggiornare Elizabeth all’interno), al ritorno da Vallombrosa Elizabeth scrisse dei bellissimi versi dedicati al luogo nel suo lungo poema Casa Guidi Windows:

And Vallombrosa, we two went to see
Last June, beloved companion, – where sublime
The mountains live in holy families,
And the slow pinewoods ever climb and climb
Half way up their breasts, just stagger as they seize
Some grey crag – drop back with it many a time,
And straggle blindly down the precipice!
The Vallombrosan brooks were strewn as thick
That June-day, knee-deep, with dead beechen leaves,
As Milton saw them ere his heart grew sick,
And his eyes blind…

(Traduzione: E insieme visitammo Vallombrosa,
il giugno scorso, amato compagno – ove sublimi
vivon i monti in sacre famiglie,
E i tardivi boschi di pini si inerpicano continui
Per metà dei loro fianchi, per poco barcollano nell’impadronirsi di
Qualche grigio dirupo – molte volte si ritirano,
E ciecamente giù si perdono nel precipizio!
Quel giorno di giugno i ruscelli di Vallombrosa
Da un denso strato ricoperti, sino al ginocchio, dalle foglie morte dei faggi,
Come Milton li vide prima che il suo cuore si ammalasse
E gli occhi si offuscassero…)

Gabriele D’Annunzio

Nell’estate del 1908, durante l’ultima settimana di luglio, D’Annunzio arriva a Vallombrosa e pernotta al Grand Hotel nella vicina località di Saltino (la costruzione originaria andò distrutta a causa di un incendio nel 1902).
La sua presenza destò subito molta curiosità: il poeta non passava certo inosservato con i suoi comportamenti eccentrici. Come ci racconta nel suo diario Josephine Kempter Rognetta (moglie dell’ingegnere Francesco Rognetta che amministrava il Grand Hotel e la ferrovia Sant’Ellero-Saltino):
“[…] scendeva tardi al mattino, sempre molto chic, forse un po’ esagerato, era sempre invitato a colazione o a pranzo, o invitava lui amici suoi […] Dopo colazione D’Annunzio rimaneva nel giardino e faceva “circolo”: lui in mezzo e tutti intorno, sembrava che dicesse grandi cose; io ci capitai qualche volta, ma non trovai mai che dicesse qualcosa di interessante…”.
La Kempter descrive come le signore facessero di tutto per accaparrarsi le attenzioni del Vate e accenna anche al flirt che ebbe con Miss Dorothy Chapman (poi diventata spunto per la protagonista di Forse che sì, forse che no) alloggiata con i genitori al Villino Margherita.

Uno dei motivi per cui D’Annunzio si trovava a Vallombrosa era probabilmente anche la vicinanza con uno degli ultimi oggetti del suo amore, la contessa Giuseppina Mancini. I due si erano incontrati per la prima volta a Roma (la Kempter dice che fecero assieme una gita sull’Appia Antica rincasando all’alba e che D’Annunzio la ricoprì di violette comprandole da tutte le fioraie). La contessa, scontenta del matrimonio con il conte Lorenzo Mancini di Giovi (Arezzo), cedette alla corte del poeta nel 1907, iniziando a frequentarlo di nascosto finché la relazione non fu scoperta e lei fu ricattata dalla famiglia a interrompere il rapporto. Così nell’estate del 1908 D’Annunzio, venendo a Vallombrosa, provo ad avvicinarsi alla contesa Mancini per riconquistarla: riuscì in un breve riavvicinamento (fu scorto al santuario della Verna con due donne, di cui una era la Mancini) e in una breve fuga d’amore a Perugia e Assisi. Alla fine la relazione divenne insostenibile per Giusi: il marito promise di riaccoglierla se avesse interrotto la relazione con D’Annunzio e lei, per il dolore di dover abbandonare l’uomo che amava e al tempo stesso per la vergogna di aver distrutto il suo matrimonio, ebbe una crisi nervosa e fu ricoverata in un manicomio.
Nel primo libro delle Laudi fa riferimento a Vallombrosa e probabilmente anche a qualcuna delle sue conquiste amorose:

…ma la Vallombrosa remota
è tutta di violette
divina, apparita in un valco
che tra due colli s’insena
ah sì dolce alla vista
che tepido pare e segreto
come l’inguine della Donna
terrestra qui forse dormente,
onde quest’anelito esala.
tratto da Laudi, Libro primo: Maya – Laus Vitae

saltino, grand hotel vallombrosa

Henry James

In una lettera del 23 luglio 1890, mentre si trova al Paradisino di Vallombrosa, Henry James scrive al fratello William:
Non mi sono mai ritrovato così in alto (più di tremila piedi sopra il livello del mare) in un paradiso così perfetto come questa indescrivibile Vallombrosa. È la Vallombrosa di Milton, citata nei suoi famosi versi, il luogo del vecchio monastero di montagna che lui stesso visitò e che si trova un centinaio di piedi più a valle rispetto a dove mi trovo, “soppresso” e acquisito per un certo periodo di tempo dal governo italiano, che lo ha trasformato in una scuola statale di scienze forestali. Questo piccolo albergo, il Paradisino, come viene chiamato, che si trova sopra un ammasso roccioso a strapiombo su un abisso violetto come fosse la prua di una nave, è l’Eremo (di quelli molto confortevoli) del vecchio convento. Il posto è straordinariamente bello e “congeniale”, con le sue montagne romantiche, gli affascinanti boschi di castagni e faggi, le magnifiche pinete, le ombre folte e fresche, l’aria pulita e dolce, la vista incantevole.

Alphonse de Lamartine

Il poeta francese visitò Vallombrosa nel 1826. Riportò le emozioni suscitate dalla vista del paesaggio nella poesia Hymne de la nuit e descrisse il luogo in L’Abbaye de Vallombreuse dans les Apenins:

Spirito dell’uomo, un giorno su queste cime gelate,
Lontano da un mondo odioso, quale soffio ti portò via?
Sei stato spinto fino alla cima, scacciato dai tuoi pensieri;
Quale incantesimo o quale orrore alla fine ti fermò?
Furono queste foreste, queste tenebre, questa onda,
Questi alberi senza età, e queste rocce immortali,
E questo istinto sacro che cerca un nuovo mondo
Lontano dai sentieri battuti che i mortali calcano.

John Milton

Il poeta inglese John Milton cita Vallombrosa in un breve passo de Il paradiso perduto:
…Stood and call’d
His Legions, Angel from, who lay intras’t
Thick as Autumnal Leaves that strow the Brooks
in Vallombrosa, where th’Etrurian shades
High overarch’timbow’r…

(da Il paradiso perduto, Libro I 299-304)

Secondo la targa apposta sull’edificio esterno del Paradisino, la struttura soprastante l’abbazia dove oggi ha sede il Centro Didattico del dipartimento di Scienze Forestali dell’Università di Firenze, il poeta aveva visitato Vallombrosa nel 1638.
La targa, scritta da Ugo Ojetti e installata nel 1925, infatti recita: “Nel 1638 / qui dimorò / il sommo poeta inglese / Giovanni Milton / studioso dei nostri classici / devoto alla nostra civiltà / innamorato / di questa foresta e di questo cielo — 30 agosto MCMXXV”.

Probabilmente però Milton non vide mai Vallombrosa. Non ci sono prove certe che attestino la sua visita, ma sappiamo che il poeta inglese incontrò Galileo a Firenze nel 1638-39, il quale potrebbe averlo suggestionato descrivendogli questi luoghi in cui lui aveva frequentato il noviziato. Inoltre Milton conosceva molto bene l’Orlando Furioso di Ariosto, dove nel XXII canto viene menzionata proprio l’abbazia. Non possiamo quindi affermare con certezza se il poeta inglese vide con i propri occhi quei boschi che hanno ricercato i molti visitatori a venire, o se fu tutto frutto della sua immaginazione sulla base delle suggestioni ricevute.

John Ruskin

Visitò più volte Firenze e la Toscana, ma fu probabilmente nella primavera del 1845 che visitò Vallombrosa, come ricorda nell’opera Proserpina: Studies of Wayside Flowers, Ruskin dove descrive brevemente l’atmosfera del luogo.

George Sand

La scrittrice francese, accompagnata dal suo amante, il grande pianista e compositore Frédéric Chopin,visitò Vallombrosa negli anni Quaranta dell’Ottocento: non si conosce però la data esatta, perché le uniche notizie a riguardo si hanno dal libro Margaret Fuller di Margaret Bell, in cui si accenna alla loro visita. Inoltre George Sand, parla brevemente di Vallombrosa all’inzio del suo romanzo Flavie.

Mary Shelley

L’autrice di Frankenstein, attratta dalle atmosfere selvagge e goticheggianti, visitò Vallombrosa con il figlio Percy Florence in un giorno piovoso nel novembre 1842. Parla della sua visita in Rambles in Germany and Italy (1844), affermando, tra l’altro, che il luogo rivaleggia per bellezza con la Svizzera o il Tirolo.

Julius Słowacki

Il poeta polacco visitò Vallombrosa il 3-4 ottobre 1837: l’unico riferimento alla visita si trova in una lettera spedita da Firenze alla madre.

Frances Milton Trollope

Visitò Vallombrosa nel maggio 1841 e pubblicò una lettera, dedicata al luogo, in A visit to Italy, in cui racconta del viaggio da Pelago fino all’abbazia, il quale veniva talvolta effettuato su una cesta, che poteva trasportare due persone, installata su una slitta di legno trainata da buoi.

Edith Wharton

Edith Wharton visita Vallombrosa nel 1905 e appunta nel suo libro Italian Backgrounds alcune impressioni:
A Firenze ci avevano detto che l’inverno avvolgeva ancora le montagne, che avremmo trovato la neve nelle gole non battute dal sole e vento gelido dai picchi. Ma l’aria di primavera ci seguì fin su le cime. Attraverso i fragranti rami degli abeti il sole ci raggiungeva caldo, come fra i sentieri di agrifoglio nei giardini di Boboli. Sui pendii intorno al monastero correva la pennellata rosa purpurea dei crochi con qui e là in macchie sparse, ben distaccate dall’erba come nei primi piani di Mantegna e Botticelli, ma così fitte da formare uno strato di colore senza interruzioni, una marea lilla che sommergeva l’erba e, scorrendo tra le antiche nicchie degli alberi, invadeva anche i recessi più scuri della foresta. Era probabilmente l’unico momento dell’anno in cui la foresta si riempiva di colori: la sua ora di trasfigurazione. Avremmo potuto passarci in tutte le altre stagioni e avremmo perso il miracolo di marzo a Vallombrosa. [tratto da Edith Wharton, Scenari italiani, Aragno, 2011]

William Wordsworth

Nella sua opera Memorials of a Tour in Italy, 1837, Wordsworth dedica a Vallombrosa una poesia intitolata proprio At Vallombrosa. La poesia cita in apertura i versi di Milton tratti da Il paradiso perduto che menzionano il luogo in questione e prosegue con un componimento di 40 versi che inizia così:
“VALLOMBROSA — I longed in thy shadiest wood
To slumber, reclined on the moss-covered floor!”
Fond wish that was granted at last, and the Flood,
That lulled me asleep bids me listen once more.
Its murmur how soft! as it falls down the steep,
Near that Cell–yon sequestered Retreat high in air–
Where our Milton was wont lonely vigils to keep
For converse with God, sought through study and prayer.

[tratto da Memorials of a Tour in Italy, 1837]