Abbarbicata su un colle, avvolta da boschi, pascoli e dalle Apuane che si scorgono in lontananza: la casa di Giovanni Pascoli si presenta così, dopo aver percorso la breve ma ripida salita che conduce allo slargo sulla quale si affaccia.

L’atmosfera intorno è ancora placida e amena come la cercò il poeta sul finire dell’Ottocento. Un luogo tranquillo dove ricostruire, con la sorella Mariù e il fido cane Gulì, l’agognato e rassicurante nido che si era sgretolato col traumatico assassinio del padre e in seguito col matrimonio dell’altra sorella, Ida.

Così Giovanni Pascoli, romagnolo originario di San Mauro, nel 1895 si scelse questa tranquilla casetta (come dimensioni tutt’altro che piccola) toscana, grazie al suggerimento di due amici. Il giorno del trasloco non fu casuale: il 15 ottobre, genetliaco di Virgilio, poeta che Pascoli amava profondamente; fu grazie a questa “benedizione” latina, in un certo senso, che riuscì ad acquistarla nel 1902 con i soldi ricavati dalla vendita di alcune medaglie d’oro vinte nei certami di poesia latina.

Nel suo “cantuccio d’ombra romita”, dove tornava dopo aver svolto i suoi incarichi di docente, Pascoli ha composto tutte le opere di questi anni: i Primi Poemetti (1897), i Canti di Castelvecchio (1903), i Poemi Conviviali (1904), i Nuovi Poemetti (1909) e le edizioni di Myricae dal 1897 al 1911.

Oggi sulla destra si trova l’ufficio del custode. È da qui che parte la visita – necessariamente guidata –  dopo aver lasciato borse ingombranti e macchine fotografiche (niente foto all’interno, ahimè).

Si parte dal giardino, la “chiusa”: orto, vigne e piante ornamentali… e una stele semplice, avvolta da siepe: la tomba del fedele cane Gulì, che accompagnò il poeta per 18 anni e che morì due mesi prima di lui. A pochi passi di distanza, quella di un altro affezionato animale, il merlo Merlino. Due semplici ma genuine attestazioni della sensibilità per la natura che animava il poeta.

La casa è conservata oggi come allora: alla morte del poeta, Maria custodì i beni e le stanze del fratello come un tempio sacro. È grazie a questa amorevole cura che oggi possiamo intraprendere un viaggio nel tempo: l’integrità è stata mantenuta anche grazie alla sua caparbietà nel preservare l’autenticità del luogo, rifiutando addirittura di installare luce elettrica e acqua corrente (e pensare che è vissuta fino al 1953…).

L’itinerario si dipana attraverso i vari ambienti di casa Pascoli: solo due dei tre piani sono però accessibili al pubblico.

Al piano terra si trova la cucina, con le originali trine in carta (preferite a quelle in tessuto perché si annerivano spesso, essendo la casa illuminata a petrolio, ed era più facile sostituirle) e la sala da pranzo, con una collezione di vini dell’epoca, tra cui una bottiglia originale di “Flos vinae”, ancora impolverata, il vino prodotto da Pascoli, e il caminetto, fatto murare per non distruggere il nido di api che vi avevano fatto l’alveare.

La cucina

Salendo al primo piano si apre lo studio del poeta, sulle cui pareti si addensano foto e attestati. Tre le scrivanie, dove il poeta si sedeva a seconda della sua attività: sulla prima scriveva le sue poesie, sulla seconda si dedicava agli studi danteschi, sulla terza agli amati latini. Nelle stanze intorno, la biblioteca, con centinaia di volumi; la camera da letto di Pascoli con tanto di tuba e cappotto, oltre ad alcuni regali ricevuti, tra cui un fucile, donato proprio a lui che forse oggi avremmo definito “animalista” e che mai avrebbe praticato attività venatoria. Il salottino e la camera da letto della sorella Mariù, con libri di preghiere, rosari, un’antica macchina da cucire e un armadio zeppo di vestiti primo novecenteschi; la camera da letto del poeta a Bologna, dove morì all’età di 56 anni il 6 aprile 1912, qui trasportata e fedelmente ricostruita. Infine la terrazza coperta da cui si ammira una vista su Barga, protetta dal duomo millenario, e sui boschi della Garfagnana.

La sala da pranzo

La visita si conclude con la cappella di famiglia dove Giovanni Pascoli e la sorella sono sepolti in un’arca di marmo: qui ogni anno, per volere di Mariù, si tiene una messa commemorativa nell’anniversario della morte del poeta.

È facile lasciarsi conquistare dalla malinconia pervasiva di questi luoghi, soprattutto in una sera d’autunno al crepuscolo, quando nell’aria si avverte l’odore fragrante di legna arsa nei camini e l’oscurità della sera stende lentamente un velo sui campi.

Allora si può proseguire verso Barga, per una passeggiata nel borgo, magari assaggiando qualche specialità a base delle famose castagne della Garfagnana. Il piccolo paesello arroccato, tutto salite e discese (attenzione a non scivolare nei giorni di pioggia) è dominato dall’alto dalla solenne chiesa con il campanile che batteva le ore udite dal poeta:

Al mio cantuccio, […]
il suon dell’ore viene col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.

L’ora di Barga, da I canti di Castelvecchio

Si incontra poi il Teatro dei Differenti, dove il poeta nel 1911 pronunciò il celebre discorso La grande proletaria si è mossa, con il quale entrava nel dibattito politico italiano esprimendo parere favorevole all’intervento militare italiano in Libia che secondo lui avrebbe procurato opportunità di lavoro per gli italiani costretti a emigrare all’estero.

Una sosta al Bar Capretz invece vi darà l’opportunità di leggere una targa dettata dal Pascoli per elogiare i due patrioti ed esponenti politici Antonio Mordini e Matteo Renato Imbriani e magari anche immaginarvi l’atmosfera di festa di quel 28 ottobre 1905 quando con un banchetto fu celebrato l’incarico ottenuto dal poeta di docente di Letteratura italiana all’Università di Bologna, succedendo a Giosuè Carducci. 

Informazioni
Casa Museo Giovanni Pascoli
Indirizzo
: Località Caprona, 6 Castelvecchio Pascoli (LU)
Sito: fondazionepascoli.it
Orari: chiuso lunedì.